venerdì 28 agosto 2009

Relativismo ateo, relativismo religioso e assolutismo

E' comprensibile e legittimo che i capi di una religione esaltino i benefici spirituali che possono derivare a quanti ne rispettino i contenuti. Ma non è del tutto corretto, anzi si potrebbe rilevarne gli estremi di una “pubblicità ingannevole”, sostenere che solo la fede religiosa è l'unico ed esclusivo mezzo per praticare il bene e raggiungere la “salvezza” dell'uomo. E' vero che ci sono tanti esempi di persone che, animate dalla fede in un Dio e in una religione, hanno condotto una vita esemplare e generosa e fatto del bene all'umanità; e penso soprattutto , ma non solo, ai tanti missionari cristiani che mettono in pratica i fondamentali insegnamenti evangelici e spendono la propria vita per alleviare le sofferenze altrui. Ma è anche vero che se una fede religiosa non è accompagnata dalla ragione e dal senso di giustizia e rispetto per gli altri, può produrre effetti tragici e disastrosi. Gli esempi negativi in proposito abbondano, per tutte le religioni, nella storia e pure nel presente; ci vorrebbe un libro solo per elencarli. Le sanguinarie Crociate, le sofferenze, le torture e le condanne a morte inflitte dalle “Sante Inquisizioni” per secoli, le guerre di religione tra cristiani, le “Guerre sante” degli islamici , gli omicidi e le stragi perpetrate dai fanatici di varie fedi stanno lì a dimostrarlo, senza ombra di dubbio.

Bisogna poi tenere presente che anche gli atei, gli agnostici o quanti non si riconoscono in un sistema di credenze religiose fissate in “libri sacri” e strutturate in dogmi e riti, possono essere animati da un fede profonda in valori umani e sociali che non sono meno apprezzabili e costruttivi di quelli connessi alle religioni. Anche tra questi gli esempi non mancano. Basti pensare ai tanti eroi civili del Risorgimento e della Resistenza, ai giudici onesti e agli uomini delle forze dell'ordine che si sono sacrificati consapevolmente in difesa della giustizia, penso a quanti operano con disinteresse, intelligenza e forza morale per il progresso della scienza, per la difesa della libertà e dei diritti umani, pur non essendo credenti o praticanti nel senso letterale del termine.

Voglio ricordare solo l'esempio che ci viene dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, morti a distanza di due mesi l'uno dall'altro, vittime della mafia che avevano cercato di sconfiggere con le armi della legge e della giustizia, accomunati dallo stesso impegno etico civile pur conoscendo i rischi che correvano. Non andava a Messa il primo, ci andava il secondo. Che differenza di valori c'è tra l'uno e l'altro? Evidentemente si può arrivare allo stesso risultato percorrendo strade intime diverse.

In ultima analisi, ciò che conta è la forza morale interiore di ogni uomo, quale che sia il sistema di valori, religiosi o semplicemente civili, in cui crede.

Non tutti riescono a trovare i valori cristiani, o i valori fondanti per la propria vita, o l'espressione della propria spiritualità, nelle genuflessioni e nei segni di croce, nelle processioni dietro una immagine o dietro prelati pomposamente e arcaicamente vestiti, nelle “ore di adorazione” davanti ad un tabernacolo , nello spargere di incensi, nell'ascolto ogni domenica di una “parola di Dio” identificata nelle lettere che S. Paolo scrisse quasi duemila anni fa ai Corinti e agli Efesini, nelle ripetizioni mnemoniche di preghiere , litanie e rosari ( o mantra, o altro versetto “sacro” di altra religione ...). Chi trova conforto in queste pratiche, liberissimo deve essere, e buon pro gli faccia.

Ma il fatto che ormai solo il 15-30 % della popolazione, ufficialmente cattolica o cristiana, non le segua più , deve pur significare qualcosa. E quel 70-80% di un popolo, che pur si definisce cristiano ma non frequenta regolarmente le funzioni religiose, non deve essere tutto schiavo del demonio o costituito da persone prive di moralità , potenziali delinquenti o aspiranti nazisti.

Se è pur vero che la ragione non porta automaticamente alla verità; verità che va sempre cercata , ridefinita, perfezionata, come un traguardo che si sposta sempre in avanti, nemmeno la fede religiosa è sinonimo di verità, poichè si basa su affermazioni, consuetudini e dogmi che vogliono restare immutabili nel tempo, nonostante abbiano causato anche tanti effetti perversi o si siano rivelati per tanti aspetti superati e in contrasto con l'evolversi del pensiero, delle esigenze umane e col progresso della scienza e della conoscenza.

L'idea di Dio che tutti noi ci portiamo dietro dall'infanzia, abitando in Paesi di cultura dominante cattolica (o protestante, o musulmana, o ebraica, o induista, ecc..) ci viene dalla lettura, praticamente imposta attraverso la catechizzazione, delle rispettive “Sacre scritture”. Ma va ricordato che le tre grandi religioni monoteiste si basano tutte su testi che non sono stati scritti direttamente e personalmente dai profeti a cui si ispirano, Mosè, Gesù, Maometto, ma che riferiscono “verità rivelate”, cioè dichiarazioni attribuite a patriarchi o “profeti”, misteriosamente scelti da Dio come messaggeri della sua parola, solo ad essi “rivelata” e poi tramandata nei secoli dai loro seguaci, dapprima per via orale e poi per iscritto . Questo assunto apre la porta a tanti interrogativi e legittimi dubbi da parte di chi non si sente di “accettare a scatola chiusa” queste presunte rivelazioni divine.

Intanto non è possibile avere la ragionevole certezza che i testi “sacri” giunti fino a noi , attraverso un viaggio bi­millenario e tanti passaggi orali e scritti, e traduzioni da una lingua all'altra, siano la copia esatta di quelli originari dettati da profeti ed evangelizzatori. E' anzi certo che siano stati parzialmente ritoccati, con aggiunte o cancellazioni, volute dai compilatori per favorire determinate convinzioni, o capitate per errori di trascrizione, traduzione e interpretazione.

In ogni caso, anche se i libri della Bibbia- Vecchio e nuovo testamento- (e del Corano) fossero davvero l'espressione esatta fino all'ultima virgola di quanto dichiarato dagli antichi profeti e messia, è lecito affermare che le “verità rivelate”, sono, per loro stessa natura, “verità relative”, frutto di convinzioni umane maturate dai compilatori di tanti secoli fa, rabbini, evangelisti, imam e califfi, e diverse a seconda dei luoghi e dei tempi. “Verità di fede” dunque, vere e valide per chi ci crede, per chi le accetta per convinzione o tradizione della famiglia e del luogo in cui è nato.

E la fede è sentimento soggettivo; il modo di vivere ed esprimere una fede varia da individuo a individuo, a seconda del suo bagaglio culturale, del suo carattere, della forza morale, della minore o maggior coerenza tra dire e fare. E ognuno dei credenti ha una sua idea di Dio, non esattamente uguale a quella degli altri. Spesso i capi religiosi rimproverano e accusano i non credenti, o diversamente credenti, di “relativismo” morale e ideale: ma è un'accusa ingiusta e impropria, perché si può affermare il contrario senza tema di smentita, osservando semplicemente quanto è accaduto e accade nel mondo, che nulla è più “relativo” delle religioni.

Non possiamo ignorare infatti che da sempre ogni popolo della terra ha avuto una “ sua” religione, sue divinità, mitologie ed eroi leggendari, con credenze , regole, riti, culti, feste e divieti che venivano tramandati di generazione in generazione, e ai quali i singoli non potevano sottrarsi perché ne venivano educati fin da neonati ed erano di fatto costretti all'osservanza per tutta la vita, dalla culla alla tomba, dal contesto sociale, politico e religioso in cui vivevano. Ogni popolo era pertanto animato dalla convinzione che solo la propria religione era quella “vera”, con valore assoluto; e ogni pensiero o atto non conforme era considerato sacrilego e contro Dio, quindi punibile dagli uomini che detenevano il potere su questa terra e da Dio dopo la morte, in un ipotetico Inferno o luogo di maledizione in un al di là comunque chiamato.

Non possiamo ignorare che, in un' Europa pur già evoluta culturalmente come quella del 1500, quando si trovò ad affrontare la “Riforma “ religiosa proposta da Lutero, non si seppe far di meglio che impugnare le armi e dilaniarsi in feroci guerre di religione tra cristiani cattolici e cristiani protestanti. E per far cessare i bagni di sangue, si trovò infine un accordo (pace di Augusta, 1555) sul principio del “cuis regio eius religio” che tradotto letteralmente significa “ a ogni regione la sua religione” e, nella sostanza , che ogni popolo avrebbe dovuto praticare la religione del Principe o Re dello Stato in cui si trovava. E chi non l'accettava poteva emigrare nello Stato con la religione che preferiva.

Inoltre , la Bibbia ha avuto ed ha tante interpretazioni diverse e ha alimentato tante religioni e sette , spesso in sanguinaria competizione tra loro, e comunque con regole diverse per i fedeli e per gli stessi ministri del culto (si pensi ad esempio al celibato dei preti, imposto solo ai cattolici) . Quella del cristianesimo è una galassia molto composita , a partire dai tre grandi filoni in cui si è divisa: cattolici, ortodossi e protestanti o “riformati”. Lungo sarebbe l'elenco dei gruppi religiosi, più o meno estesi, che dicono di ispirarsi alla Bibbia. Non parliamo delle persone che dicono di trarre da essa la propria guida morale: ci si ritrova in compagnia con uomini onesti e pii, con capi di stato guerrafondai, con generosi benefattori e feroci torturatori, con persone di cultura e altre di estrema ignoranza, e spesso anche con grandi bugiardi, delinquenti ed esaltati. Se non è relativismo religioso questo.....

Si può anche far rilevare che l'osservanza di una etica fissata nei dogmi di una religione, può essere considerata , a rigor di logica, debole e passiva, se non è frutto di libera scelta volontaria e consapevole, ma è indotta o imposta dal contesto religioso, culturale, sociale e politico in cui l'individuo vive. Tutt'al più si puo parlare di obbedienza, ma non di una vera etica responsabile e adeguata per una umanità che voglia vivere esprimendo tutte le proprie facoltà intellettive e spirituali, in primo luogo senza rinunciare alla propria libertà di pensiero.
Ancor più relativa è la cosiddetta
morale cattolica, che così come viene vissuta da tanta parte di fedeli ed ecclesiastici, è di fatto una doppia morale, o la persistente vecchia morale del “mercato delle indulgenze” che suscitò le ire di Lutero. Qualunque peccato, colpa o delitto, può venire “perdonato “ con la recita di preghiere e “atti di dolore”, confessione, comunione,frequenza ai riti e pellegrinaggi, a un dato santuario, meglio ancora se accompagnati da offerte alla Chiesa. E' una morale sostanzialmente basata su un interessato “do ut des”. Si chiedono grazie a Dio in cambio di offerte e preghiere, più o meno come si faceva con gli antichi rituali pagani e le offerte sacrificali praticati un po' ovunque nel mondo in forme diverse. Il fedele che si comporta male nella vita, ma accetta le regole dei culti fissate da una tradizione, e si sottopone al giudizio di un confessore, può godere di una assoluzione pronunciata “ in nome di Dio”. Ma è veramente etico o morale tutto questo?

Il matrimonio cristiano è considerato sacramento indissolubile e il divorzio è proibito per un cattolico osservante. Ma poi la Chiesa stessa in molti casi ne sancisce l'annullamento attraverso il suo Tribunale della Sacra Rota. La Chiesa condanna ogni pratica che limiti le nascite o ogni forma di aborto e soppressione di embrione appena concepito, ma poi ha promosso o benedetto guerre, e mantenuto per un millennio la pena di morte nei propri ordinamenti. Si potrebbe continuare ancora con l'elencazione delle contraddizioni e degli esempi di relativismo etico nell'ambito della religione cristiana e in specifico di quella cattolica soprattutto in Italia.

Ma il vero guaio non sta tanto in questo relativismo di fatto praticato anche dai credenti; il pericolo nasce quando si vogliono imporre i valori religiosi come valori assoluti, e quando non si tollera ombra di critica o di dubbio. Ritenendo di essere unici possessori della “verità” e unici interpreti della “volontà di Dio”, gli assolutisti non si fermano davanti a niente e credono di potersi permettere qualsiasi cosa; in primis di imporre agli altri, con qualsiasi mezzo, la propria “verità” e le proprie regole di vita.

A fronte dei danni che può provocare l'assolutismo etico-religioso, ben venga quindi il relativismo. Un relativismo che sia sinonimo di laicità , intesa come libertà per tutti, di credere o di non credere, di sottomettersi in parte o in tutto agli insegnamenti e alle regole di una religione, o di rifiutarle, secondo la propria coscienza, senza violare i diritti altrui e senza pretendere di imporle agli altri, meno che mai come leggi di uno Stato.

Perché solo le religioni devono essere considerate intoccabili e indiscutibili? Perché i capi religiosi si possono permettere di porsi al di sopra di tutti, arrogandosi il diritto di parlare in nome di Dio pur essendo comuni mortali come noi, con pregi e limiti come tutti? Non è giunto il tempo che si possa essere liberi di credere e di pregare , ma che a chiunque sia vietato di parlare a nome di Dio, perché a nessuno dovrebbe essere consentita tale presunzione?

Solo un approccio relativistico e non dogmatico o totalitario alle religioni ci può salvare dalle “guerre di religione”, e farci convivere pacificamente, ognuno con le sue credenze o scetticismi, nel rispetto reciproco (*)

(*) Estratto dal saggio di Magda Barbieri "Non nominare il nome di Dio invano"

(La foto in alto raffigura Albert Einstein, nel 1947; ripresa da Wikipedia - vedi anche sua biografia)

lunedì 24 agosto 2009

Nichilismo, illuminismo, umanesimo ateo = nazismo?

Mentre il corpo e la mente dei comuni mortali erano fiaccati dal caldo agostano, sono piovute dal cielo, o, per la precisione, dalle bocche del Papa e di alcuni cardinali e monsignori (seguiti da dotte e controverse interpretazioni di filosofi e teologi sulla stampa) severi anatemi contro il “nichilismo”, il “bieco illuminismo”, il "relativismo etico" dell'”umanesimo ateo”, il razionalismo, accostati indiscriminatamente al nazismo, sfoderando termini di cui temiamo che la maggior parte dei suddetti comuni mortali non conosca il significato.

Infatti , soprattutto in Italia, a tutti i bambini e ai ragazzi si insegna il catechismo cattolico, nelle parrocchie e a scuola con l'ora di religione; ma non viene data loro la stessa opportunità di studiare, o almeno di conoscere altre religioni e il significato delle sopra citate definizioni filosofiche e della storia dei relativi movimenti di pensiero. Conoscenza riservata, e quasi sempre in modo superficiale, a chi frequenta le scuole superiori , ma soprattutto solo ai pochi che fanno studi specialistici specifici di filosofia e teologia.

Con le sopra citate affermazioni di condanna da parte del Papa , è ovvio che la maggior parte degli italiani, “cattolici” per battesimo, sacramenti e catechismo ricevuti nell'infanzia, anche se adulti tiepidamente fedeli e poco praticanti, saranno indotti a considerare tali idee negativamente, come “brutte cose”, senza nemmeno fare lo sforzo di cercare di sapere in proprio di che si tratti.

Proviamo qui a fornire “lumi”, o almeno alcuni rudimenti in proposito, per “par condicio”, colmare le lacune cognitive di tanti e dar loro una opportunità di conoscenza , da approfondire con altre letture, ovviamente, per chi ha tempo e voglia.

Cominciamo dal termine più noto e lontano nel tempo, riprendendo la spiegazione che ne dà il Dizionario enciclopedico della Zanichelli (Edigeo 1995), e tralasciando la citazione dei concetti più complessi e dei filosofi e scrittori di non comune conoscenza.

- “Umanesimo: movimento culturale che dalla metà del secolo XIV alla metà del secolo XV, con la riscoperta o la rilettura o la reinterpretazione dei testi della classicità greca e latina, pose le premesse della civiltà del Rinascimento e ne costituì la base ideologica. In senso lato indica un atteggiamento culturale, riscontrabile in epoche diverse, caratterizzato dalla fedeltà alla lezione del mondo classico....... Questo concetto di humanitas esprime la convinzione che gli uomini sono accomunati , al di là delle differenze etniche, dalla capacità di padroneggiare un linguaggio che sia specchio della razionalità ..... consapevolezza della comune appartenenza alla condizione umana .... privilegio che implica anche una profonda solidarietà .....

L'humanitas ciceroniana concorre a determinare , direttamente ed esplicitamente, l'ideologia di Francesco Petrarca (1304-1374) , primo umanista moderno .....

Da allora, umanesimo è l'esaltazione di quelle attività intellettuali che, opponendosi sia alla subordinazione dell'umano al divino, sia al primato delle scienze “esatte”, indicano nell'uomo il fine irrinunciabile di ogni sapere .......

Più tardi, nel secolo 1400, verrà affermato il principio chel'uomo è libero artefice e costruttore di se stesso”

E del Petrarca va ricordato, con breve inciso, che fu figura complessa, di uomo e di letterato, ammiratore e divulgatore della cultura classica latina e grande poeta in lingua allora detta “volgare” (come Dante e Boccaccio); sempre dibattuto tra la ricerca di sincera spiritualità e il fascino dei piaceri terreni; cappellano al servizio di un cardinale Colonna e poi di un arcivescovo Visconti, e padre di due figli avuti da effimere relazioni.

Passiamo all'illuminismo , tanto osteggiato dalle gerarchie ecclesiastiche, oggi come nell'Ottocento, sempre riferendo la definizione del Dizionario Zanichelli

- “Illuminismo: (o filosofia dei lumi). Orientamento culturale sviluppatosi in Europa nel secolo XVIII (1700, n.d.r.). Muovendo dal pensiero filosofico degli empiristi inglesi .... esso ebbe una vasta diffusione soprattutto in Francia, improntando l'opera e il pensiero di Montesquieu, Voltaire, J. J. Rousseau e dettando i criteri ispiratori della compilazione dell'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert ; grande influenza esso esercitò anche in Germania (G.E. Lessing ....) e in Italia, in particolare nell'ambiente napoletano (A. Genovesi, F. Galiani, F. M. Pagano) e milanese (P. e A. Verri e C. Beccaria).

Fondato sulla piena fiducia nella capacità della ragione di spiegare il mondo e di risolvere i problemi di natura sociale e politica, promosse una severa analisi critica di ogni forma di autoritarismo, scagliandosi in particolare contro l'assolutismo monarchico, l'aristocrazia feudale e la chiesa, caratterizzandosi in senso progressista.

Favorì inoltre lo sviluppo di nuovi indirizzi in ogni campo del sapere, da quello degli studi storici, in cui cercò di liberare il campo da ogni ipotesi provvidenzialistica di stampo religioso e di combattere la visione della storia come frutto della sola attività di sovrani ed eserciti; alle discipline economiche, da quelle biologiche a quellle più strettamente filosofiche .

Espressione, dal punto di vista sociale, dell'emancipazione culturale della nuova classe borghese, ormai protagonista del mondo economico e commerciale e ansiosa di conquistarsi nuovi spazi anche politici, rappresentò il principale fattore che , dopo i ripetuti fallimenti dei tentativi di riforma dell'”Ancien Regime”, ne determinerà la caduta violenta con la rivoluzione francese”.

Kant (1724-1804) fu espressione tra le più mature dell'illuminismo e al tempo stesso il primo a tentarne il superamento, o comunque a fare passi avanti nella ricerca filosofica con le sue opere “Critica della ragion pura” e “Critica della ragion pratica” e con altre, di non facile lettura ma indicative di un metodo di analisi razionale che non si pone limiti nel cercare di conoscere e spiegare i fenomeni tangibili , ma che arriva a proporre l'imperativo categorico della legge del dovere per il dovere, come guida morale per l'uomo.

Insomma, riassunto in parole povere, l'illuminismo è alla base della cultura moderna (filosofica, economica, politica, letteraria) progredita dalla metà del 1700 in poi; ispirando letterati e patrioti portò alla caduta dei regimi assolutistici in Europa e in Italia (compreso lo Stato della Chiesa), alla formazione in alcuni casi dapprima di monarchie “illuminate” e poi di democrazie liberali; portò all'affermazione di principi come la libertà di pensiero, di parola, di stampa, di religione, e allo sviluppo della scienza.

Che si possa definirlo “bieco” è affermazione personale, libera, ma ampiamente discutibile e confutabile.

E veniamo al nichilismo, sempre basandoci sulla definizione del Dizionario Zanichelli.

- “Nichilismo: ( o nihilismo, dal latino nihil = nulla). Atteggiamento di pensiero che caratterizza ogni dottrina filosofica che si propone la negazione radicale di un sistema di valori. Introdotto in filosofia al termine del secolo XVIII all'interno delle polemiche contro il criticismo kantiano e l'idealismo, il termine fu genericamente esteso a indicare le filosofie che tendono a negare la possibilità della conoscenza della realtà e a sostenere l'infondatezza dell'etica tradizionale. Sulla scorta dell'opera di L. S. Turghenev “Padri e figli”(1862), nella quale sono indicati come nichilisti gli studenti piccolo-borghesi, critici verso ogni forma della cultura tradizionale, ma contemporaneamente animati da una profonda fiducia nel sapere scientifico, il nichilismo improntò di sé buona parte della cultura progressista e rivoluzionaria della Russia del secondo ' 800, arrivando anche ad incoraggiare iniziative terroristiche.

F. Nietsche (1844-1900) attribuisce al termine una valenza positiva, indicandolo come strumento fondamentale per lo smascheramento della falsità dei valori della cultura, primo passo sulla via della piena affermazione dell'umanità”.

Teoria non del tutto chiara, discutibile, come tutte le teorie filosofiche (e religiose); nota genericamente per l'impronta fortemente pessimistica , da leggere e interpretare nel contesto culturale e sociale della seconda metà del 1800 e nella vicenda personale di Nietsche; parzialmente e impropriamente utilizzata poi da Hitler nella formulazione dell'ideologia nazista, che si appropriò pure di principi del nazionalismo e del socialismo, mescolandoli con farneticazioni sulla purezza e la supremazia della razza ariana e pangermanica, in un coacervo tutto suo ( “Mein Kampf”, 1928), illiberale, militarista, razzista , antiebraico e dispotico, con i nefasti risultati che sappiamo.

Accostare fin quasi all'identificazione il nichilismo filosofico contemporaneo al nazismo e all'umanesimo ateo come ha fatto il Papa, appare una operazione intellettuale piuttosto azzardata e sostanzialmente offensiva per tutta la cultura non religiosa europea.

Purtroppo, sull'onda di questa ripresa di un revisionismo storico-religioso, si sentono spesso ecclesiastici e loro devoti che citano Hitler e Stalin come modelli prodotti dalla ragione senza fede e senza Dio, traguardo ultimo e quasi obbligato, in un rapporto di causa-effetto, delle idee propagate dal razionalismo e dall'illuminismo. E questa mi sembra proprio una eresia; anzi, un esempio di “vilipendio della ragione e della verità storica".

Hitler e Stalin sono stati proprio il prodotto massimo della negazione della ragione e del valore di ogni singolo uomo, oltre che della negazione di Dio. Nelle loro idee e nelle loro azioni non c'era traccia delle idee dell'illuminismo, né del “Trattato sulla tolleranza “ di Voltaire, né del razionalismo kantiano, che suggerivano ben altri ideali e modelli di uomo morale e di società. Se mai i due succitati dittatori ( i più spietati e recenti della storia , ma non certo i soli, tanti altri ce ne sono stati , e ce ne sono tuttora, in ogni parte del mondo), hanno incarnato l'idea di uomini dotati di una mostruosa volontà di potere personale assoluto , che si sono arrogati il diritto di vita e di morte sugli altri uomini e su interi popoli, quasi prendessero a modello il Dio biblico , o credessero di avere essi soli il potere di Dio. Non per nulla si è coniata per loro l'espressione “culto della personalità”, in quanto hanno usato e imposto il culto di se stessi e della loro ideologia, totalitaria e totalizzante, come una nuova religione. E hanno costruito il loro potere , oltre che con la forza della sopraffazione, anche col consenso raccolto approfittando della credulità dei loro popoli, che hanno riposto in loro una fede senza ragione. Nei regimi da essi dominati era proibita e condannata ogni forma di dubbio, critica, o dissenso nei confronti delle idee e delle scelte dei capi, si esigeva la sottomissione assoluta della ragione e del sentimento, così come pretendeva il Dio biblico e come si pretende, in molti casi anche oggi, dai fedeli di una religione.

In certi loro atteggiamenti non si può non cogliere quasi l'imitazione del Dio biblico che giustificava le stragi e le sconfitte inflitte ai nemici del suo “popolo eletto”, e puniva le disobbedienze anche formali con la morte, e con la ricorrente minaccia ”sia reciso dal suo popolo...”. Forse non è un caso che Hitler si sia appropriato dell'idea biblica di “popolo eletto”, trasferendola dal popolo ebreo al popolo tedesco, per la cui supremazia giustificava qualsiasi crimine, riversando principalmente proprio contro gli ebrei tutto il suo odio, in quanto nemici da annientare per consentire la grandezza e la gloria della Germania .

Si può ricordare anche che Stalin studiò per alcuni anni in un seminario cristiano ortodosso a Tiblisi, dove di illuminismo e di Kant devono avergliene insegnato poco ; e Hitler non finì le scuole medie perchè considerato inadatto allo studio, e, in età adulta , fu affascinato, più che dal razionalismo, dalle mitologie Nibelungiche e dal Parsifal e frequentava una setta esoterica-mistica; scelse come simbolo la svastica, o croce runica, simbolo magico-religioso ripreso da antiche culture indo-europee; nel suo “Mein kampf” si autodefinì “cristiano” e i suoi fedelissimi combattevano e uccidevano all'insegna del motto “Dio è con noi”.

Nazismo e stalinismo sono quindi ideologie quanto mai lontane, anzi opposte ai valori dell'umanesimo e dell'illuminismo.

Sarebbe corretto e onesto lasciar perdere, da parte della Chiesa, certi paragoni e accostamenti infamanti che squalificano ingiustamente sette secoli di cultura umanistica e illuministica, atea o agnostica che sia, senza la quale saremmo ancora sudditi di regimi assolutistici medievali.

Testo tratto da un saggio di Magda Barbieri


sabato 8 agosto 2009

L'Italia dei dialetti: da conoscere, ma non per dividersi

Non so se convenga a qualcuno riportare l 'Italia allo stato in cui si trovava nel basso medioevo o, più o meno nel 1200 (cartina a lato), con marchesati, ducati, contee, principati vescovili, qualche repubblica marinara, o, comunque città-stato più o meno estese, l'una contro l'altra armate, talvolta alleate contro o pro l'Imperatore germanico o contro o pro il Papa di Roma. A sentire certe proposte che rimbalzano sulla stampa in questi giorni, per imporre esami di dialetto ai professori, bandiere e inni regionali da fissare nella Costituzione, bandiere “padane” e confusi federalismi, sembra proprio che si voglia rimettere all'Italia il famigerato “vestito di Arlecchino” (dismesso nel 1860 con l'Unità) e riportarla indietro nella storia, senza peraltro conoscere la storia, sia politica che linguistica del nostro Paese.

Certamente conoscere la storia è un impegno gravoso, che richiede uno studio approfondito al quale i politici (e molti dei loro elettori) forse fanno troppa fatica a sottoporsi. Ma una infarinatura almeno potrebbero darsela.

Proviamo di tentarla qui, con l'aiuto di alcune cartine (vedi gli album relativi nella “Galleria fotografica”, in barra verde in alto sul sito www.pianurareno.org) e una sintesi di informazioni tratte da fonti autorevoli in materia.

Cominciamo con l'esame delle “aree linguistiche” della nostra penisola, che non corrispondono quasi mai alle divisioni amministrative di Regioni e Province (*).

L'Atlante Tematico d'Italia, edito da Touring Club e CNR , ne indica 16, più una decina di “isole alloglotte” e qualche altra “area mista di complessa classificazione”. Precisamente, le aree dialettali sono distinguibili tra: provenzale, franco-provenzale, gallo-italico, veneto, ladino, tirolese, friulano, sloveno, toscano, mediano, meridionale interno, meridionale esterno, sardo-logudorese, sardo-campidanese, sardo-sassarese, sardo-gallurese. Ognuna di queste aree comprende poi vari sottogruppi (vedere elenco in Wikipedia)

Le “isole alloglotte”, o isole linguistiche, piccole enclave incuneate in zone di confine, ma non solo, si tramandano linguaggi di diverse impronte: albanese, greco, provenzale, croato, ligure, emiliano, catalano, tedesco, gallo-italico (settentrionale) e franco-provenzale; testimonianze di antiche migrazioni radicate in loco, o persistenze di arcaiche dominazioni poi scomparse.

Ma anche la delimitazione o i confini di queste aree linguistiche non vanno misurati col metro quadrato o tracciati col righello.

Intanto perché bisogna tener conto dei diversi sostrati linguistici pre-latini” che derivano dalle più o meno lunghe e durature occupazioni del territorio italico da parte di popoli antichi, in aree le cui dimensioni variarono più volte per estensione. Al nord si insediarono a lungo e si spartirono il territorio vari gruppi etnico-linguistici: dai più noti Galli, ai Veneti, ai Liguri, ai Reti, ai Galli Carni. Al centro , oltre ai più forti ed estesi Etruschi, ci stettero Sabini, Sanniti, Umbri e Frentani. Al sud, abitarono Osci, Greci, Dauni e Messapii. In Sicilia , Greci, Siculi, Sicani e Fenici. In Sardegna, gruppi paleosardi, Fenici e Punici.

Poi ci fu il più lungo periodo della dominazione romana, repubblicana e imperiale, più o meno per cinque secoli , che imposero la lingua latina come lingua ufficiale , nei documenti e nelle opere letterarie, su Italia e buona parte d'Europa. Dopo la disgregazione dell'Impero romano (476) , il latino rimase comunque ancora per secoli lingua ufficiale, letteraria ed ecclesiastica: ma ripresero spazio nella parlata popolare gli antichi linguaggi dei vari gruppi etnici preesistenti e rimasti in zona.

Poi arrivarono altri popoli, altre invasioni e occupazioni piuttosto durature. Ecco dunque, formarsi e scomporsi Regni romano-barbarici e aggiungersi altri apporti linguistici post-latini: Goti e Longobardi dal nord fino alla Calabria, i Greco-Bizantini nel tacco e nel piede dello “stivale”, nel Ravennate e area costiera nord-adriatica e pure in Sardegna, Bizantini e soprattutto Arabi in Sicilia, Slavi e Bavaresi in aree di confine al nord e est .

Ognuno di questi popoli ha lasciato segni nel linguaggio popolare-dialettale e nei toponimi (nomi di luoghi) delle aree abitate più a lungo, mescolandosi , sovrapponendosi, aggiungendosi ai vocaboli e ai toponimi derivati da altre influenze pre-latine e latine, nel crogiuolo del primo millennio dopo Cristo.
..........

Ma in genere c'era, come c'è tuttora, il limite territoriale della possibile diffusione e comprensione delle opere, in genere subordinato al luogo in cui si parla ogni singolo dialetto. Il dialetto di un luogo non è capito dagli abitanti di un altro luogo, anche vicino. I dialetti in Italia sono almeno 6.000, quasi uno per ogni comune.

Ognuno di questi dialetti è un microcosmo locale ma al tempo stesso quasi internazionale, perché si porta dietro un complicato miscuglio di diversi apporti di ceppi etnici e linguistici venuti da fuori o “stranieri” che si sono sovrapposti, stratificati ed anche evoluti nel tempo (e sono tuttora in evoluzione). Studiarli è bene per la messe di informazioni storiche che vi si possono ricavare. Studiare, o quanto meno conoscere, il dialetto del luogo in cui si è nati o in cui si vive, può essere un'esperienza interessante e affascinante.

Ma deve essere ricerca e studio volontario, o integrativo in ambito scolastico, come completamento dello studio della storia di un popolo e della sua lingua nazionale. Studio da condurre in una ottica unificante e non disgregante o di separazione geografica e spirituale tra i luoghi e le persone. Alzare nuovi steccati regionali o comunali, bandiere o simbologie falsamente “identitarie” distinte per luogo , vuol dire distruggere quel percorso unificante che le generazioni che ci hanno preceduto hanno costruito con tanta fatica, nella lingua nazionale e nella formulazione storica degli stessi dialetti.

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(il seguito dell'articolo, di Magda Barbieri, le immagini e la bibliografia, sul sito www.pianurareno.org)


*** Sull'argomento dialetti, da non perdere uno spassoso e pungente articolo di Claudio Magris su "Il corriere della sera" del 7 agosto, sotto forma di lettera ironica indirizzata al Ministro della pubblica istruzione Gelmini e intitolata
Dante e Verga? Basta. Mi son de Trieste
Ministro, cambiamo i programmi: «El moroso de la Nona» al posto della Divina Commedia.
La riproduzione dell'articolo è riservata, quindi mi permetto di stralciarne solo qualche frase.

...."Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio che a Trieste l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.
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La letteratura dovrebbe ad esempio esse­re insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostitui­ti dalla conoscenza approfondita del "Moro­so de la nona" di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve esse­re insegnata secondo questo criterio; l'ope­ra di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombar­dia e in Sicilia.

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Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’en­triamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno be­ne a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».

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Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Ita­lia. Finora abbiamo creduto che il senso pro­fondo di quell’unità non fosse in alcuna con­traddizione con l'amore altrettanto profon­do che ognuno di noi porta alla propria cit­tà, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è pro­fondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente pro­fondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innu­merevoli, diversi e incantevoli volti che con­corrono a formare la sua realtà. Ci riconosce­vamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, ag­giungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare.
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C. M.




domenica 2 agosto 2009

Obiezione di coscienza o invito alla sedizione?


Ci risiamo. Dai Vescovi italiani un invito, anzi un ordine, ai medici e ai farmacisti cattolici a non distribuire o somministrare la pillola Ru486 a donne che chiedano, legittimamente, di farne uso. Non voglio, né posso per incompetenza personale, entrare nel merito della efficacia o di eventuali controindicazioni per effetti collaterali sul piano fisico o psicologico che possono derivare dall'uso di questa pillola , che solo i medici possono valutare, caso per caso.
Ma una volta che gli organi competenti, nazionali e internazionali, ne hanno approvato la distribuzione e l'uso, sta alla libera scelta della singola donna, se si trova in difficoltà ad accettare la gravidanza, di ricorrervi. E alle farmacie, ai medici e agli ospedali, che sono servizi pubblici con dipendenti pubblici a disposizione di tutti i cittadini, religiosi o atei che siano, compete l'obbligo di fornirla e assicurarne il corretto uso, a tutela della salute della donna.
Certo si tratta di scelta delicata e dolorosa, che comporta la soppressione di una possibile vita "in fieri", ma le leggi italiane e internazionali lo consentono, entro determinate circostanze e protezioni.
Pertanto, a fronte della delicatezza e complessità dell'argomento, ciò che dà fastidio a me come cittadino comune, non è tanto che i capi della Chiesa cattolica invitino i propri fedeli a non usare questa pillola, come del resto fanno contro tutte le altre pillole anticoncezionali, i preservativi e quant'altro limiti le nascite. Ciò che dà fastidio e, a mio parere, supera la misura del lecito, è che si istighino pubblicamente medici e farmacisti a non fornire la pillola a nessuno, ricorrendo all'escamotage dell'"obiezione di coscienza", sotto minaccia di scomunica per i cattolici. Escamotage che si traduce di fatto nella privazione di un diritto per le tante donne che non intendono , legittimamente, seguire i dettami della Chiesa.
Se un diktat come quello emesso dalla CEI lo facessero i rappresentanti di qualsiasi altro Stato estero si potrebbe giustamente accusarli di ingerenza e tentativo di limitare la sovranità nazionale. Se lo facesse Di Pietro lo si accuserebbe di sedizione o di comportamento sovversivo. Quando questo tipo di intromissioni e minacce le fanno i religiosi islamici, giustamente si parla di "fatwa", inaccettabile in un paese che voglia restare libero e democratico e quindi laico.
Ma ormai il principio della laicità dello Stato è uscito dalle menti dei politici che siedono in Parlamento e che governano questo Paese, in sempre più accentuato stato di soggezione alle pretese di autorità religiose sempre più invadenti e aggressive, ma a senso unico, solo su certi temi detti chissà perchè, "eticamente sensibili".
Ma i temi eticamente sensibili sono tanti e altri, e ben più gravi, che travagliano la nostra società. E su questi la Chiesa ha taciuto e fatto finta di non vedere per troppo tempo. E anche ora fa prediche generiche che girano molto alla larga.

Avesse usato la Chiesa le sue scomuniche e i suoi anatemi contro i finti cristiani che affollavano le chiese (e elargivano offerte), ma vivevano da mafiosi, camorristi, evasori, politici e medici corrotti, religiosi pedofili, magistrati collusi con il potere, e quanti hanno in vari modi arrecato grave danno economico e morale alla società, forse oggi non ci troveremmo in questa situazione di degrado morale; si sarebbero potute salvare tante vite di innocenti, e i giovani non avrebbero tanta paura di mettere su famiglia e mettere al mondo dei figli.

Stupisce anche che tutto questo zelo per "difendere i valori della famiglia e della vita", e per impedire la limitazione di nascite indesiderate, venga da religiosi che per primi danno il cattivo esempio, avendo scelto di non avere famiglia e di non procreare, contravvenendo a uno dei più pressanti inviti divini o biblici: "crescete e moltiplicatevi". Se, come dice il Vangelo, "Dio si è fatto uomo", solo chi serve l'uomo serve Dio. E non si capisce perchè chi dice di voler servire Dio si metta una tonaca, si chiuda in una chiesa o in un convento a pregare un dio astratto che starebbe nei cieli, e rinunci ad avere figli e una famiglia, che sono proprio il primo banco di prova per cercare di mettere in pratica i precetti evangelici, vivendo di persona i problemi concreti degli uomini e delle donne, delle difficoltà della paternità e della maternità, del mantenimento e dell'educazione dei figli, del lavoro o della mancanza di un lavoro, di una gestione della sessualità che concili istinti naturali e razionalità, sentimenti, diritti e doveri verso se stessi e verso le persone amate.
Facile per gli alti prelati (anziani e maschi) predicare dal pulpito tirandosi fuori da questa mole enorme di problemi che l'uomo e la donna in età fertile devono r isolvere, mentre loro si fanno mantenere con donazioni e tasse pagate dai peccatori e dagli onesti, dai fedeli e dai non credenti, pretendendo anche di imporre a tutti come "parola di Dio" e leggi dello Stato dogmi, regole e convinzioni frutto di interpretazioni teologiche medievali (e convenienze politiche attuali).

* La vignetta in alto è di Matra, ripresa dal sito UAAR