Ma la morte per infarto del consigliere giuridico del Presidente della Repubblica, Loris D'Ambrosio, è diventato un caso nazionale, e subito, senza consultare alcun medico o fare l'autopsia, si è trovata la causa e soprattutto i colpevoli, anzi "gli assassini": i pubblici ministeri che stanno conducendo le indagini sulla trattativa Stato - mafia del 1992 - 1993 e i giornalisti de Il Fatto quotidiano e i pochi altri che hanno dato notizia dei recenti tentativi dell'ex ministro Nicola Mancino di ottenere un qualche appoggio dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, trovandosi indiziato e accusato di falsa testimonianza per il ruolo da lui a suo tempo avuto nella conoscenza della trattativa, e mai chiarito.
Essendo stato D'Ambrosio il tramite dei contatti Mancino-Quirinale e delle telefonate intercettate e rese note, questo ex magistrato e collaboratore di Napolitano si è trovato indubbiamente in una situazione difficile, esposto a critiche e a indagini. Essendo notoriamente cardiopatico (almeno così si legge), è probabile che lo stress di questi ultimi mesi e le circostanze in cui suo malgrado si è trovato, a causa della sua posizione di collaboratore del Presidente della Repubblica, abbiano indebolito ulteriormente il suo cuore e provocato la "ferita" fatale.
Ma davvero è lecito e giusto scagliarsi contro i magistrati che stanno conducendo una legittima e doverosa indagine su vicende oscure che portarono alla morte dei giudici Falcone e Borsellino, delle loro scorte, a successive stragi e infine a una pax mafiosa favorita dalla sospensione del regime carcerario duro, il 41 bis, per centinaia di detenuti mafiosi?
E' lecito e giusto scagliarsi e accusare addirittura di "assassinio" quei giornalisti che hanno puntualmente riferito di questi contatti e telefonate anomali ai massimi vertici volte ad orientare, o disorientare, le indagini?
O non ha, per esempio, qualche responsabiltà chi telefonò a D'Ambrosio otto volte in quattro mesi per chiedergli di intercedere presso Capo dello Stato affinchè dall'alto della sua carica lo difendesse dai magistrati di Palermo, il senatore intercettato Nicola Mancino?
Dispiace veramente che in questa feroce campagna accusatoria sul bersaglio sbagliato si siano distinti non solo politici (v. il piduista Cicchitto) e giornalisti di testate berlusconiane e affini, Libero e il Giornale in prima fila, pur notoriamente dedite allo sciacallaggio e alle campagne antimagistratura per i soliti fini interessati.
Ma dispiace che si siano accodati giornalisti di testate nazionali cosiddette "indipendenti" e soprattutto si sia distinto il Capo dello Stato, che, dimenticando i suoi quotidiani moniti ad "abbassare i toni" altrui, se ne è uscito con un comunicato ufficiale e addirittura un lunghissimo necrologio sui giornali, accusando "la campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose" cui D'Ambrosio " era stato di recente pubblicamente esposto....".
Se l'esimio Presidente della Repubblica si fosse fermato alle prime parole del necrologio in cui elogiava il suo prezioso collaboratore e ne elencava la storia professionale meritoria, avrebbe fatto un'opera santa. Ma questa coda velenosa di oscure accuse che ha voluto aggiungervi non trova giustificazione, se non in un maldestro tentativo di allontanare da se stesso l'ombra di una responsabilità personale nell'aver indotto o permesso al suo consigliere di svolgere un ruolo di intermediazione e aiuto all'amico ex ministro Mancino in colloqui telefonici sui quali si pretende di imporre il segreto.
No sig. Presidente, così non va. Già era stata una forzatura la sua recentissima lettera al CSM per denunciare un ipotetico conflitto di attribuzione di competenza contro le modalità di indagine dei pubblici ministeri di Palermo. Ora la grande stampa e i politici di destra e di sinistra si genuflettono e si sbracciano nella sua difesa, ma a me come cittadino resta l'amaro in bocca e la convinzione che lei in questa vicenda si sia spinto oltre i doveri connessi alla sua carica. E per difendere se stesso e non le vantate "prerogative del Capo dello Stato" a futura memoria.
Sembra quasi voglia ripercorrere la strada del presidente Cossiga che si divertiva a "togliersi i sassolini" dalle scarpe, soprattutto negli ultimi anni del settennato, sparando accuse contro ex compagni di partito per fatti di cui lui stesso era stato corresponsabile.
Io sto con Travaglio e Padellaro e con la loro posizione di liberi operatori dell' informazione e con la puntuale ricostruzione che della vicenda hanno fatto, vedi http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/28/infarto-di-stato/309055
Ora che D'Ambrosio è morto, è venuto a mancare un importante testimone della vicenda Mancino-Quirinale, e questo porrà seri limiti al raggiungimento della verità. Stavolta un infarto naturale ha involontariamente svolto il compito di silenziatore un tempo svolto dai caffè dell'Ucciardone o da certi "suicidi" assistiti provvidenziali per qualcuno.
Se poi ci aggiungiamo la "fuga" in Guatemala per un incarico annuale, volontaria o meno che sia, del magistrato Antonio Ingroia che ha condotto, con altri, le indagini sulla vicenda della trattativa Stato - mafia, conclusa in questa prima fase con un rinvio a giudizio di mafiosi ed ex "servitori dello Stato" tra cui gli ex Ministri Mancino e Conso con accuse di reticenze e false testimonianze, il quadro appare sempre più preoccupante e indicativo delle passate commistioni e compromissioni tra politici di alto livello e criminalità organizzata e potente.
E prende ora più forza il potente partito trasversale che vuole una legge che limiti l'uso delle intercettazioni, così tenacemente voluta da politici di ogni colore... e delinquenti.
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