"Habemus papam". Il popolo delle primarie del centrosinistra ha dunque eletto il suo "papa". Un papa, ma si potrebbe anche definire "papà", di lungo corso e lunga esperienza, che racchiude in sè tutti i meriti, e le colpe, della storia della sinistra, e in particolare di quello che è stato il PCI, poi PDS, DS e infine l'attuale PD.
Scegliendo Pierluigi Bersani, la parte che lo ha votato (53 %) ha voluto "star nel sicuro", affidarsi ancora una volta al leader conosciuto fin dall'infanzia alle feste dell'Unità, ai comizi di partito, per l'attività di Presidente della regione Emilia Romagna e di Ministro con il governo Prodi. Lo zoccolo duro che ha votato per lui è ancora il tradizionale, e prevalentemente attempato, zoccolo duro che ancora regge le sezioni, pardon, i circoli, prepara le crescentine e i tortellini alle feste di autofinanziamento, fa volantinaggio e volontariato ad ogni occasione. E quando il partito chiama alla conta e al voto, accorre fedele e obbediente alle indicazioni del segretario locale, quasi sempre senza nemmeno partecipare alle poche riunioni di discussione e senza nemmeno conoscere i candidati alle cariche.
Questo zoccolo è la forza del partito; ma al tempo stesso ne rappresenta anche la debolezza. Intanto perchè è uno zoccolo che si sta consumando col tempo, si assottiglia pian pianino per l'età che avanza e spegne via via tanti degli storici militanti. Ma è diventato un punto debole anche perchè con questo metodo di utilizzo dei militanti è via via venuto a mancare un vero dibattito politico interno, un vero rapporto democratico e meritocratico nella scelta dei dirigenti, dai segretari di sezione , a quelli di provincia , di regione e su su fino ai candidati per cariche amministrative e parlamentari. Una solida struttura gerarchicamente ordinata, utile sì, ma che si è chiusa in se stessa, bravissima a mantenersi in vita, ma arroccata quasi esclusivamente a difesa delle carriere dei prescelti dal giro che conta, travagliata dai contrasti per rivalità personali e quasi sempre priva di contenuti ideali, magari dichiarati ma non praticati.
Struttura autoreferenziale che ha quindi portato alla mancanza di una linea del partito su tanti punti importanti, scontentando e deludendo tanti elettori , anche tra quelli storici, soprattutto in questi ultimi anni.
Con la vittoria di Bersani si corre il rischio che questo andazzo continui come prima, perchè i suoi sponsor o sostenitori più potenti sono in gran parte espressione della suddetta struttura, che qualcuno chiama nomenklatura, D'Alema in testa.
Nella sua mozione e nella sua campagna elettorale anche Bersani ha parlato di rinnovamento del partito , ha elencato obiettivi condivisibili, ma ha tenuto anche molte espressioni e posizioni ambigue o non ben chiarite. Se continuerà nella linea ondivaga tenuta finora, se si riprenderà a spacciare per "dialogo" i compromessi e i baratti con gli avversari berlusconiani, la vittoria di Bersani sarà stata una vittoria di Pirro, perchè poi alle elezioni amministrative e politiche, dove non basta lo zoccolo duro delle primarie, si continuerà a perdere voti.
Inoltre, Bersani dovrà tener conto del fatto che, se il 53,3% dei votanti ha scelto lui, c'è stato un 47% che ha sostenuto gli altri due candidati, Franceschini col 34,4%, Marino col 12,3% . Quasi la metà dei partecipanti alle primarie quindi ha espresso un'indicazione più marcata per il cambiamento, per imboccare una linea di opposizione e di laicità più decisa, e per accogliere e valorizzare persone nuove.
E' apparso evidente che il partito, nella sua componente più radicata, non era ancora "maturo" o pronto per accettare come leader un ex DC-PPI , o un medico illustre abbastanza nuovo per l'attività politica.
Ma il forte consenso da essi pur raccolto è stato un bel segnale, che chi ha vinto non può ignorare.
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