martedì 27 ottobre 2009

Dove ci porterà il treno guidato da Bersani?

"Habemus papam". Il popolo delle primarie del centrosinistra ha dunque eletto il suo "papa". Un papa, ma si potrebbe anche definire "papà", di lungo corso e lunga esperienza, che racchiude in sè tutti i meriti, e le colpe, della storia della sinistra, e in particolare di quello che è stato il PCI, poi PDS, DS e infine l'attuale PD.
Scegliendo Pierluigi Bersani, la parte che lo ha votato (53 %) ha voluto "star nel sicuro", affidarsi ancora una volta al leader conosciuto fin dall'infanzia alle feste dell'Unità, ai comizi di partito, per l'attività di Presidente della regione Emilia Romagna e di Ministro con il governo Prodi. Lo zoccolo duro che ha votato per lui è ancora il tradizionale, e prevalentemente attempato, zoccolo duro che ancora regge le sezioni, pardon, i circoli, prepara le crescentine e i tortellini alle feste di autofinanziamento, fa volantinaggio e volontariato ad ogni occasione. E quando il partito chiama alla conta e al voto, accorre fedele e obbediente alle indicazioni del segretario locale, quasi sempre senza nemmeno partecipare alle poche riunioni di discussione e senza nemmeno conoscere i candidati alle cariche.
Questo zoccolo è la forza del partito; ma al tempo stesso ne rappresenta anche la debolezza. Intanto perchè è uno zoccolo che si sta consumando col tempo, si assottiglia pian pianino per l'età che avanza e spegne via via tanti degli storici militanti. Ma è diventato un punto debole anche perchè con questo metodo di utilizzo dei militanti è via via venuto a mancare un vero dibattito politico interno, un vero rapporto democratico e meritocratico nella scelta dei dirigenti, dai segretari di sezione , a quelli di provincia , di regione e su su fino ai candidati per cariche amministrative e parlamentari. Una solida struttura gerarchicamente ordinata, utile sì, ma che si è chiusa in se stessa, bravissima a mantenersi in vita, ma arroccata quasi esclusivamente a difesa delle carriere dei prescelti dal giro che conta, travagliata dai contrasti per rivalità personali e quasi sempre priva di contenuti ideali, magari dichiarati ma non praticati.
Struttura autoreferenziale che ha quindi portato alla mancanza di una linea del partito su tanti punti importanti, scontentando e deludendo tanti elettori , anche tra quelli storici, soprattutto in questi ultimi anni.

Con la vittoria di Bersani si corre il rischio che questo andazzo continui come prima, perchè i suoi sponsor o sostenitori più potenti sono in gran parte espressione della suddetta struttura, che qualcuno chiama nomenklatura, D'Alema in testa.
Nella sua mozione e nella sua campagna elettorale anche Bersani ha parlato di rinnovamento del partito , ha elencato obiettivi condivisibili, ma ha tenuto anche molte espressioni e posizioni ambigue o non ben chiarite. Se continuerà nella linea ondivaga tenuta finora, se si riprenderà a spacciare per "dialogo" i compromessi e i baratti con gli avversari berlusconiani, la vittoria di Bersani sarà stata una vittoria di Pirro, perchè poi alle elezioni amministrative e politiche, dove non basta lo zoccolo duro delle primarie, si continuerà a perdere voti.

Inoltre, Bersani dovrà tener conto del fatto che, se il 53,3% dei votanti ha scelto lui, c'è stato un 47% che ha sostenuto gli altri due candidati, Franceschini col 34,4%, Marino col 12,3% . Quasi la metà dei partecipanti alle primarie quindi ha espresso un'indicazione più marcata per il cambiamento, per imboccare una linea di opposizione e di laicità più decisa, e per accogliere e valorizzare persone nuove.
E' apparso evidente che il partito, nella sua componente più radicata, non era ancora "maturo" o pronto per accettare come leader un ex DC-PPI , o un medico illustre abbastanza nuovo per l'attività politica.
Ma il forte consenso da essi pur raccolto è stato un bel segnale, che chi ha vinto non può ignorare.

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