E' stato l'argomento - tormentone dell'estate 2016 questo del cosiddetto "burkini", neo costume da bagno inventato recentemente -si è detto - per permettere alle donne islamiche osservanti di fare il bagno in piscina o al mare, nel rispetto di quella interpretazione del Corano più restrittiva che impone alle donne di non esporre in pubblico i propri capelli e non un centimetro di pelle scoperto (a parte il viso, mani e piedi a seconda dei casi).
Il tormentone è scoppiato intorno a ferragosto, dopo che alcuni sindaci della Costa Azzurra avevano emanato un decreto che vietava questo tipo di costume, o tuta integrale, nelle relative spiagge, adducendo motivi di sicurezza, in seguito alla terribile strage di metà luglio a Nizza, quando un folle islamico in nome di Allah e dell'ISIS ha deliberatamente travolto e schiacciato con un camion centinaia di persone, sulla Promenade des Anglais, uccidendone 85 e ferendone oltre 250. Subito si è scatenato il dibattito ( in Occidente ne siamo i campioni) tra favorevoli e contrari, con la consueta contrapposizione pregiudiziale ideologica tra cosiddetta "sinistra" liberal, contraria al divieto, e la destra più xenofoba e antiislamica (più qualche battitore libero isolato come me), favorevole.
Questa contrapposizione pregiudiziale a mio parere ha falsato il dibattito, portandolo su motivazioni talora superficiali o mal riposte o strumentali a fini di favorire la propria parte politica e quindi perdendo di vista il valore politico e giuridico più ampio e importante che l'argomento, e l'oggetto del divieto, apparentemente futile, nascondeva.
Quando poi è stata pubblicata una foto che ritraeva poliziotti francesi nell'atto di imporre ad una donna musulmana di togliersi una delle fasciature che le avvolgevano la testa, in esecuzione del divieto emesso dal sindaco, apriti cielo, è scoppiato uno scandalo internazionale!
Manco l'avessero denudata! E via con una serie di articoli di biasimo per i cattivi poliziotti e sindaci francesi, autori di una simile "discriminazione e privazione di libertà personale" paragonabile a quelle che le donne islamiche subiscono nei paesi dove vige la legge coranica, che obbliga le donne e coprirsi da capo a piedi quando escono di casa e in qualsiasi luogo pubblico.
"Siamo come loro!!" subito hanno tuonato affranti i nostri "liberal" e le nostre ex femministe quasi convertite all'islam; e a dar loro man forte è intervenuto subito il Consiglio di Stato francese che, turbato dal fatto che la Francia, patria della libertè ed egalitè, potesse apparire come un regime tirannico, ha disposto la sospensione del divieto dei sindaci bollandolo come atto discriminatorio che ledeva la libertà di religione delle donne musulmane (ma qualche sindaco ha resistito e l'ha mantenuto).
Infine si è aggiunto nientemeno che l'Alto Commissariato dell'Onu per i diritti umani dell'ONU, che, con la velocità del fulmine, è subito intervenuto a bacchettare i sindaci francesi colpevoli di aver emanato un'ordinanza che "discrimina le donne musulmane, alimenta l'intolleranza religiosa e non serve per la sicurezza".
Capirai! Tanto zelo e velocità di intervento per difendere un capo di abbigliamento che più che a un costume da bagno somiglia alla divisa di un combattente dell'ISIS, da parte in un organismo internazionale che si muove abitualmente a passo di lumaca e non vede e non sanziona mai le gravissime violazioni dei diritti umani compiute nei paesi islamici, si spiega però molto bene se si ricorda che il presidente di questa istituzione è un principe giordano, musulmano, mentre il presidente del Comitato consultivo del Consiglio ONU per i dirirtti umani è il principe saudita Faisal Bin Hassan Thad, ambasciatore dell'Arabia presso le Nazioni unite. Due grosse volpi a guardia del pollaio.... e figuriamoci come sono preoccupati della salute delle galline...
Tanto perchè si sappia che siamo arrivati all'assurdo che la difesa dei diritti umani a livello internazionale è stata affidata (o svenduta...) a esponenti di Stati, osservanti di una stessa unica religione, che non hanno nemmeno sottoscritto la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 e che se ne sono confezionata una per conto loro che subordina i diritti umani alla rigida sottomissione ai precetti del Corano. Non riconoscono quindi i diritti altrui e dei fedeli di altre religioni in casa propria, ma sono esigentissimi nel pretendere che gli Stati non islamici applichino alla lettera le indicazioni fissate per la difesa dei "diritti" degli islamici residenti in Occidente, considerando diritti anche quelli che sono pretese derivate da dettami religiosi e tradizioni arcaiche discriminanti e in contrasto con le nostre leggi e consuetudini.
Ma i fedeli di religione musulmana sono quasi un miliardo e mezzo, sparsi in ogni continente, e, pur divisi e spesso in contrasto tra loro per diverse impostazioni teologiche, rivalità territoriali, economiche e politico- religiose, sono comunque associati in una organizzazione di cooperazione tra stati islamici che comprende ben 57 Paesi che, quando si tratta di difendere le prerogative della loro religione, fanno blocco e non accettano alcuna limitazione.
Se poi si considera che alcuni di questi stati islamici, come l'Arabia Saudita e l'Iran hanno un forte potere contrattuale e di condizionamento sull'Occidente per via del petrolio che possiedono e di cui ci serviamo, e per svariati contratti commerciali che ci legano a loro, ecco che le questioni di principio e di libertà delle donne passano in secondo e terzo ordine e si accetta qualsiasi ricatto o pretesa.
Tornando al famigerato discusso burkini mi pare opportuno evidenziare alcuni aspetti.
1)Burkini come costume: un'assurda e inutile provocazione, perchè non serve nè per prendere il sole, nè per fare un bagno igienico.
Guardiamo l'oggetto dal punto di vista pratico.
A che serve indossare un burkini? A niente, perchè, dovendo coprire tutto il corpo, non serve a prendere il sole o abbronzarsi, anzi, soprattutto se è di colore nero come quelli che si son visti in foto, surriscalda e fa sudare parecchio, per quanto sia fatto di stoffa leggera.
Se poi si vuole fare il bagno o nuotare in mare, la stoffa si inzuppa e appesantisce, rendendo quasi impossibile o quanto meno faticoso e pericoloso l'avventurarsi oltre qualche bracciata. A meno che il costume non sia dello stesso materiale delle tute da sub, e allora va bene per le immersioni subacquee, più che per fare un igienico bagno presso la riva. E di solito i sub veri, poi, quando emergono e vogliono fare il bagno, la tuta se la tolgono.
Sfido qualsiasi persona normale a sostenere che sia piacevole e utile dal punto di vista igienico fare il bagno vestiti, al mare, in piscina o nella vasca di casa...
Il burkini è quindi solo un indumento provocatorio di ostentazione di una appartenenza religiosa in una sede che non è luogo di culto, nè di rito, che poteva benissimo essere vietato senza infrangere il principio della libertà religiosa.
2) Il burkini non è un piccolo passo avanti nell'affermazione della libertà della donna islamica, perchè - si dice - le permette di andare al mare, cosa che non potrebbe fare senza.
Ragionamento questo, espresso anche da intellettuli e commentatori autorevoli, che non si rendono conto di quanto sia una deprimente e aberrante resa alle imposizioni e restrizioni islamiche sulle donne. A parte il fatto che, viste le considerazioni di cui sopra non è di alcun progresso o beneficio pratico andare al mare indossando un burkini, si può affermare che la donna islamica osservante ci guadagnerebbe di più in salute a prendere il sole nel cortile di casa e a fare il bagno nella vasca di casa sua.
Ma il punto di base che più conta è questo: come si può definire libera una donna che se non si copre da capo a piedi non può uscire di casa? Come si può in un paese libero e democratico permettere questa limitazione della libertà, anzi giustificarla e favorirla, in nome di una ipotetica e di fatto impossibile "libertà di vestirsi come si vuole"?
La donna islamica non è libera di vestirsi come vuole, perchè burkini, burka, chador e fazzolettoni vari sono "divise" discriminanti, per religione e sesso, in quanto distintive e caratterizzanti le sole donne musulmane; "divise" volute e imposte, direttamente o indirettamente, per condizionamento culturale-religioso tradizionale dalle comunità islamiche. Sono quindi un forte ostacolo alla integrazione sociale e lesive del principio di uguaglianza tra uomini e donne e tra le stesse donne di religione diversa.
3) Una società democratica e liberale non diventa tirannica se emette norme che vietano abusi e discriminazioni .
Un altro argomento sbandierato dai critici dei divieti francesi si basava sulla tesi che non è con i divieti che si favorisce la libertà delle donne musulmane, ma bisogna favorire la evoluzione ed emancipazione culturale.
E io rispondo: magari non ci fosse bisogno di divieti! Sarebbe bello poter combattere le battaglie sul piano culturale e sociale senza bisogno di ricorrere a mezzi coercitivi. Ma non vedo in giro alcun impegno per favorire questa emancipazione e evoluzione culturale, anzi vedo una rassegnata politica di resa e assuefazione alle discriminazioni e pretese islamiche.
In ogni caso, il genere umano è quello che è, e dovunque e in ogni tempo c'è stato bisogno di Codici, penali e civili, per definire ciò che è permesso e ciò che non lo è. La differenza tra uno stato democratico e un regime dittatoriale, teocratico o militare, sta nella diversa qualità delle leggi. Ci sono leggi "liberticide" e leggi "liberatorie" e queste ultime sono necessarie in democrazia e possono comprendere divieti e sanzioni per i trasgressori.
Erano forse liberticide le leggi che vietarono la schiavitù? E' liberticida una norma che vieta di servirsi di un autobus senza pagare il biglietto? Non ci sono già norme che regolamentano l'uso di uniformi, di militari, sacerdoti o dipendenti di ditte nei luoghi di lavoro, in servizio o fuori servizio? Già qualche norma che impedisce di vestirsi come si vuole, c'è e questo non ci rende uguali ai regimi tirannici.
Fermo restando che servirà ben altro per cambiare la mentalità maschilista, oscurantista e medievale che sta dietro alle "divise" femminili islamiche, io resto del parere che un divieto ben argomentato di indossare vistosi abbigliamenti distintivi di una religione (qualunque religione) nei luoghi pubblici, potrebbe dare l'opportunità alle donne islamiche residenti in Occidente di provare finalmente il piacere di sentirsi più belle e libere e ben integrate nella nostra società, liberandole di quelle coperture deprimenti che le isolano e condannano ad un ruolo e ad una immagine fuori del tempo presente ( perchè se aspettiamo che le liberino mariti e imam, o che si convincano loro stesse per emancipazione culturale spontanea e veramente libera di scegliere senza subire ripercussioni punitive in famiglia, forse non ci arriveremo mai...)
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