Non so se convenga a qualcuno riportare l 'Italia allo stato in cui si trovava nel basso medioevo o, più o meno nel 1200 (cartina a lato), con marchesati, ducati, contee, principati vescovili, qualche repubblica marinara, o, comunque città-stato più o meno estese, l'una contro l'altra armate, talvolta alleate contro o pro l'Imperatore germanico o contro o pro il Papa di Roma. A sentire certe proposte che rimbalzano sulla stampa in questi giorni, per imporre esami di dialetto ai professori, bandiere e inni regionali da fissare nella Costituzione, bandiere “padane” e confusi federalismi, sembra proprio che si voglia rimettere all'Italia il famigerato “vestito di Arlecchino” (dismesso nel 1860 con l'Unità) e riportarla indietro nella storia, senza peraltro conoscere la storia, sia politica che linguistica del nostro Paese.
Certamente conoscere la storia è un impegno gravoso, che richiede uno studio approfondito al quale i politici (e molti dei loro elettori) forse fanno troppa fatica a sottoporsi. Ma una infarinatura almeno potrebbero darsela.
Proviamo di tentarla qui, con l'aiuto di alcune cartine (vedi gli album relativi nella “Galleria fotografica”, in barra verde in alto sul sito www.pianurareno.org) e una sintesi di informazioni tratte da fonti autorevoli in materia.
Cominciamo con l'esame delle “aree linguistiche” della nostra penisola, che non corrispondono quasi mai alle divisioni amministrative di Regioni e Province (*).
L'Atlante Tematico d'Italia, edito da Touring Club e CNR , ne indica 16, più una decina di “isole alloglotte” e qualche altra “area mista di complessa classificazione”. Precisamente, le aree dialettali sono distinguibili tra: provenzale, franco-provenzale, gallo-italico, veneto, ladino, tirolese, friulano, sloveno, toscano, mediano, meridionale interno, meridionale esterno, sardo-logudorese, sardo-campidanese, sardo-sassarese, sardo-gallurese. Ognuna di queste aree comprende poi vari sottogruppi (vedere elenco in Wikipedia)
Le “isole alloglotte”, o isole linguistiche, piccole enclave incuneate in zone di confine, ma non solo, si tramandano linguaggi di diverse impronte: albanese, greco, provenzale, croato, ligure, emiliano, catalano, tedesco, gallo-italico (settentrionale) e franco-provenzale; testimonianze di antiche migrazioni radicate in loco, o persistenze di arcaiche dominazioni poi scomparse.
Ma anche la delimitazione o i confini di queste aree linguistiche non vanno misurati col metro quadrato o tracciati col righello.
Intanto perché bisogna tener conto dei diversi “sostrati linguistici pre-latini” che derivano dalle più o meno lunghe e durature occupazioni del territorio italico da parte di popoli antichi, in aree le cui dimensioni variarono più volte per estensione. Al nord si insediarono a lungo e si spartirono il territorio vari gruppi etnico-linguistici: dai più noti Galli, ai Veneti, ai Liguri, ai Reti, ai Galli Carni. Al centro , oltre ai più forti ed estesi Etruschi, ci stettero Sabini, Sanniti, Umbri e Frentani. Al sud, abitarono Osci, Greci, Dauni e Messapii. In Sicilia , Greci, Siculi, Sicani e Fenici. In Sardegna, gruppi paleosardi, Fenici e Punici.
Poi ci fu il più lungo periodo della dominazione romana, repubblicana e imperiale, più o meno per cinque secoli , che imposero la lingua latina come lingua ufficiale , nei documenti e nelle opere letterarie, su Italia e buona parte d'Europa. Dopo la disgregazione dell'Impero romano (476) , il latino rimase comunque ancora per secoli lingua ufficiale, letteraria ed ecclesiastica: ma ripresero spazio nella parlata popolare gli antichi linguaggi dei vari gruppi etnici preesistenti e rimasti in zona.
Poi arrivarono altri popoli, altre invasioni e occupazioni piuttosto durature. Ecco dunque, formarsi e scomporsi Regni romano-barbarici e aggiungersi altri apporti linguistici post-latini: Goti e Longobardi dal nord fino alla Calabria, i Greco-Bizantini nel tacco e nel piede dello “stivale”, nel Ravennate e area costiera nord-adriatica e pure in Sardegna, Bizantini e soprattutto Arabi in Sicilia, Slavi e Bavaresi in aree di confine al nord e est .
Ognuno di questi popoli ha lasciato segni nel linguaggio popolare-dialettale e nei toponimi (nomi di luoghi) delle aree abitate più a lungo, mescolandosi , sovrapponendosi, aggiungendosi ai vocaboli e ai toponimi derivati da altre influenze pre-latine e latine, nel crogiuolo del primo millennio dopo Cristo.
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Ma in genere c'era, come c'è tuttora, il limite territoriale della possibile diffusione e comprensione delle opere, in genere subordinato al luogo in cui si parla ogni singolo dialetto. Il dialetto di un luogo non è capito dagli abitanti di un altro luogo, anche vicino. I dialetti in Italia sono almeno 6.000, quasi uno per ogni comune.
Ognuno di questi dialetti è un microcosmo locale ma al tempo stesso quasi internazionale, perché si porta dietro un complicato miscuglio di diversi apporti di ceppi etnici e linguistici venuti da fuori o “stranieri” che si sono sovrapposti, stratificati ed anche evoluti nel tempo (e sono tuttora in evoluzione). Studiarli è bene per la messe di informazioni storiche che vi si possono ricavare. Studiare, o quanto meno conoscere, il dialetto del luogo in cui si è nati o in cui si vive, può essere un'esperienza interessante e affascinante.
Ma deve essere ricerca e studio volontario, o integrativo in ambito scolastico, come completamento dello studio della storia di un popolo e della sua lingua nazionale. Studio da condurre in una ottica unificante e non disgregante o di separazione geografica e spirituale tra i luoghi e le persone. Alzare nuovi steccati regionali o comunali, bandiere o simbologie falsamente “identitarie” distinte per luogo , vuol dire distruggere quel percorso unificante che le generazioni che ci hanno preceduto hanno costruito con tanta fatica, nella lingua nazionale e nella formulazione storica degli stessi dialetti.
(il seguito dell'articolo, di Magda Barbieri, le immagini e la bibliografia, sul sito www.pianurareno.org)
*** Sull'argomento dialetti, da non perdere uno spassoso e pungente articolo di Claudio Magris su "Il corriere della sera" del 7 agosto, sotto forma di lettera ironica indirizzata al Ministro della pubblica istruzione Gelmini e intitolata
Dante e Verga? Basta. Mi son de Trieste
Ministro, cambiamo i programmi: «El moroso de la Nona» al posto della Divina Commedia.
La riproduzione dell'articolo è riservata, quindi mi permetto di stralciarne solo qualche frase.
...."Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio che a Trieste l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.
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La letteratura dovrebbe ad esempio essere insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostituiti dalla conoscenza approfondita del "Moroso de la nona" di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve essere insegnata secondo questo criterio; l'opera di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombardia e in Sicilia.
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Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’entriamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno bene a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».
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Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Italia. Finora abbiamo creduto che il senso profondo di quell’unità non fosse in alcuna contraddizione con l'amore altrettanto profondo che ognuno di noi porta alla propria città, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è profondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente profondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innumerevoli, diversi e incantevoli volti che concorrono a formare la sua realtà. Ci riconoscevamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, aggiungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare.
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C. M.
Bell'articolo, pero' alcune precisazioni son dovute: nel caso di veneto e di friulano e' sbagliato parlare di dialetto ma e' piu' consono parlare di lingua, non a caso sono riconosciute come tali.
RispondiEliminaDetto questo penso sia possibile pensare ad una posizione a meta' tra l'ostracismo nazionalista dello stato e i "colpi di sole" estivi della lega.
Come detto anche da te l'italia e' - fondamentalmente - un "minestrone" di culture tradizioni e lingue differenti.
Sarebbe bello mantenerle, ma questo senza dover contrastare l'identita' nazionale ma essere il punto di base per una multidimensionalita' culturale: essere cittadini del paese in cui si vive, e italiani e europeri e cittadini del mondo.
Ben venga quindi il cercare di mantenere il dialetto la storia e le tradizioni dei luoghi in cui si vive, pero' questo non sia una scusa per dimenticare l'identita' nazionale o un motivo per contrasti con chi viene da zone differenti.
Il problema attuale e' che tali proposte al momento sono portate avanti unicamente dalla lega la quale le strumentalizza a suo comodo, concentriamoci sull'idea e non su chi la propone; facciamola nostra e usiamola per unire e arricchire anziche' dividere.
Mi chiamo Maurizio Musacchi - maurizio.musacchi@tiscali.it -
RispondiEliminaScrivo: poesie,racconti,vocabolari,con il "gruppo Baiolini".
Leggo, interpreto in teatro,(attore dilettante,) in dialetto ferrarese. Insomma amo la lingua mia e dei miei avi!
Mi piacerebbe trovatre scritti precedenti il 1700: ce ne sono? Se sì me ne potete dar notizie ? Grazie Maurizio Musacchi