sabato 8 agosto 2009

L'Italia dei dialetti: da conoscere, ma non per dividersi

Non so se convenga a qualcuno riportare l 'Italia allo stato in cui si trovava nel basso medioevo o, più o meno nel 1200 (cartina a lato), con marchesati, ducati, contee, principati vescovili, qualche repubblica marinara, o, comunque città-stato più o meno estese, l'una contro l'altra armate, talvolta alleate contro o pro l'Imperatore germanico o contro o pro il Papa di Roma. A sentire certe proposte che rimbalzano sulla stampa in questi giorni, per imporre esami di dialetto ai professori, bandiere e inni regionali da fissare nella Costituzione, bandiere “padane” e confusi federalismi, sembra proprio che si voglia rimettere all'Italia il famigerato “vestito di Arlecchino” (dismesso nel 1860 con l'Unità) e riportarla indietro nella storia, senza peraltro conoscere la storia, sia politica che linguistica del nostro Paese.

Certamente conoscere la storia è un impegno gravoso, che richiede uno studio approfondito al quale i politici (e molti dei loro elettori) forse fanno troppa fatica a sottoporsi. Ma una infarinatura almeno potrebbero darsela.

Proviamo di tentarla qui, con l'aiuto di alcune cartine (vedi gli album relativi nella “Galleria fotografica”, in barra verde in alto sul sito www.pianurareno.org) e una sintesi di informazioni tratte da fonti autorevoli in materia.

Cominciamo con l'esame delle “aree linguistiche” della nostra penisola, che non corrispondono quasi mai alle divisioni amministrative di Regioni e Province (*).

L'Atlante Tematico d'Italia, edito da Touring Club e CNR , ne indica 16, più una decina di “isole alloglotte” e qualche altra “area mista di complessa classificazione”. Precisamente, le aree dialettali sono distinguibili tra: provenzale, franco-provenzale, gallo-italico, veneto, ladino, tirolese, friulano, sloveno, toscano, mediano, meridionale interno, meridionale esterno, sardo-logudorese, sardo-campidanese, sardo-sassarese, sardo-gallurese. Ognuna di queste aree comprende poi vari sottogruppi (vedere elenco in Wikipedia)

Le “isole alloglotte”, o isole linguistiche, piccole enclave incuneate in zone di confine, ma non solo, si tramandano linguaggi di diverse impronte: albanese, greco, provenzale, croato, ligure, emiliano, catalano, tedesco, gallo-italico (settentrionale) e franco-provenzale; testimonianze di antiche migrazioni radicate in loco, o persistenze di arcaiche dominazioni poi scomparse.

Ma anche la delimitazione o i confini di queste aree linguistiche non vanno misurati col metro quadrato o tracciati col righello.

Intanto perché bisogna tener conto dei diversi sostrati linguistici pre-latini” che derivano dalle più o meno lunghe e durature occupazioni del territorio italico da parte di popoli antichi, in aree le cui dimensioni variarono più volte per estensione. Al nord si insediarono a lungo e si spartirono il territorio vari gruppi etnico-linguistici: dai più noti Galli, ai Veneti, ai Liguri, ai Reti, ai Galli Carni. Al centro , oltre ai più forti ed estesi Etruschi, ci stettero Sabini, Sanniti, Umbri e Frentani. Al sud, abitarono Osci, Greci, Dauni e Messapii. In Sicilia , Greci, Siculi, Sicani e Fenici. In Sardegna, gruppi paleosardi, Fenici e Punici.

Poi ci fu il più lungo periodo della dominazione romana, repubblicana e imperiale, più o meno per cinque secoli , che imposero la lingua latina come lingua ufficiale , nei documenti e nelle opere letterarie, su Italia e buona parte d'Europa. Dopo la disgregazione dell'Impero romano (476) , il latino rimase comunque ancora per secoli lingua ufficiale, letteraria ed ecclesiastica: ma ripresero spazio nella parlata popolare gli antichi linguaggi dei vari gruppi etnici preesistenti e rimasti in zona.

Poi arrivarono altri popoli, altre invasioni e occupazioni piuttosto durature. Ecco dunque, formarsi e scomporsi Regni romano-barbarici e aggiungersi altri apporti linguistici post-latini: Goti e Longobardi dal nord fino alla Calabria, i Greco-Bizantini nel tacco e nel piede dello “stivale”, nel Ravennate e area costiera nord-adriatica e pure in Sardegna, Bizantini e soprattutto Arabi in Sicilia, Slavi e Bavaresi in aree di confine al nord e est .

Ognuno di questi popoli ha lasciato segni nel linguaggio popolare-dialettale e nei toponimi (nomi di luoghi) delle aree abitate più a lungo, mescolandosi , sovrapponendosi, aggiungendosi ai vocaboli e ai toponimi derivati da altre influenze pre-latine e latine, nel crogiuolo del primo millennio dopo Cristo.
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Ma in genere c'era, come c'è tuttora, il limite territoriale della possibile diffusione e comprensione delle opere, in genere subordinato al luogo in cui si parla ogni singolo dialetto. Il dialetto di un luogo non è capito dagli abitanti di un altro luogo, anche vicino. I dialetti in Italia sono almeno 6.000, quasi uno per ogni comune.

Ognuno di questi dialetti è un microcosmo locale ma al tempo stesso quasi internazionale, perché si porta dietro un complicato miscuglio di diversi apporti di ceppi etnici e linguistici venuti da fuori o “stranieri” che si sono sovrapposti, stratificati ed anche evoluti nel tempo (e sono tuttora in evoluzione). Studiarli è bene per la messe di informazioni storiche che vi si possono ricavare. Studiare, o quanto meno conoscere, il dialetto del luogo in cui si è nati o in cui si vive, può essere un'esperienza interessante e affascinante.

Ma deve essere ricerca e studio volontario, o integrativo in ambito scolastico, come completamento dello studio della storia di un popolo e della sua lingua nazionale. Studio da condurre in una ottica unificante e non disgregante o di separazione geografica e spirituale tra i luoghi e le persone. Alzare nuovi steccati regionali o comunali, bandiere o simbologie falsamente “identitarie” distinte per luogo , vuol dire distruggere quel percorso unificante che le generazioni che ci hanno preceduto hanno costruito con tanta fatica, nella lingua nazionale e nella formulazione storica degli stessi dialetti.

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(il seguito dell'articolo, di Magda Barbieri, le immagini e la bibliografia, sul sito www.pianurareno.org)


*** Sull'argomento dialetti, da non perdere uno spassoso e pungente articolo di Claudio Magris su "Il corriere della sera" del 7 agosto, sotto forma di lettera ironica indirizzata al Ministro della pubblica istruzione Gelmini e intitolata
Dante e Verga? Basta. Mi son de Trieste
Ministro, cambiamo i programmi: «El moroso de la Nona» al posto della Divina Commedia.
La riproduzione dell'articolo è riservata, quindi mi permetto di stralciarne solo qualche frase.

...."Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio che a Trieste l'Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.
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La letteratura dovrebbe ad esempio esse­re insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostitui­ti dalla conoscenza approfondita del "Moro­so de la nona" di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve esse­re insegnata secondo questo criterio; l'ope­ra di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombar­dia e in Sicilia.

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Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’en­triamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno be­ne a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».

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Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Ita­lia. Finora abbiamo creduto che il senso pro­fondo di quell’unità non fosse in alcuna con­traddizione con l'amore altrettanto profon­do che ognuno di noi porta alla propria cit­tà, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è pro­fondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente pro­fondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innu­merevoli, diversi e incantevoli volti che con­corrono a formare la sua realtà. Ci riconosce­vamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l'acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, ag­giungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare.
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C. M.




2 commenti:

  1. Bell'articolo, pero' alcune precisazioni son dovute: nel caso di veneto e di friulano e' sbagliato parlare di dialetto ma e' piu' consono parlare di lingua, non a caso sono riconosciute come tali.
    Detto questo penso sia possibile pensare ad una posizione a meta' tra l'ostracismo nazionalista dello stato e i "colpi di sole" estivi della lega.
    Come detto anche da te l'italia e' - fondamentalmente - un "minestrone" di culture tradizioni e lingue differenti.
    Sarebbe bello mantenerle, ma questo senza dover contrastare l'identita' nazionale ma essere il punto di base per una multidimensionalita' culturale: essere cittadini del paese in cui si vive, e italiani e europeri e cittadini del mondo.
    Ben venga quindi il cercare di mantenere il dialetto la storia e le tradizioni dei luoghi in cui si vive, pero' questo non sia una scusa per dimenticare l'identita' nazionale o un motivo per contrasti con chi viene da zone differenti.
    Il problema attuale e' che tali proposte al momento sono portate avanti unicamente dalla lega la quale le strumentalizza a suo comodo, concentriamoci sull'idea e non su chi la propone; facciamola nostra e usiamola per unire e arricchire anziche' dividere.

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  2. Mi chiamo Maurizio Musacchi - maurizio.musacchi@tiscali.it -
    Scrivo: poesie,racconti,vocabolari,con il "gruppo Baiolini".
    Leggo, interpreto in teatro,(attore dilettante,) in dialetto ferrarese. Insomma amo la lingua mia e dei miei avi!
    Mi piacerebbe trovatre scritti precedenti il 1700: ce ne sono? Se sì me ne potete dar notizie ? Grazie Maurizio Musacchi

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